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Amore o schiavitù?

Amore o schiavitù?

Il passo a due della dipendenza affettiva

Ognuno di noi dipende da qualcosa! Per qualcuno è il caffè del  mattino,  per altri il cinema del venerdì. La parola dipendenza è molto utilizzata nella vita quotidiana e non solo per far riferimento all’abuso di sostanze illegali. 

Da pochi anni anche in Italia i clinici si stanno interessando a una nuova forma di dipendenza: la dipendenza affettiva. Rientra nella più ampia categoria delle New Addictions (Nuove Dipendenze), che comprende tutte quelle forme di attaccamento in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica (droga, alcol, farmaci, ecc.), ma l’oggetto della dipendenza è rappresentato da comportamenti o attività che sono parte integrante della vita quotidiana.

Si tratta di uno stato patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria, per la propria esistenza. Diventa la linfa vitale di cui quotidianamente nutrirsi. Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, l’oggetto d’amore, un’importanza tale da annullare se stessi, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità. Tutto questo per evitare di affrontare una paura ancor più grande: la rottura della relazione.

La dipendenza affettiva è un passo a due

Nonostante sembri un fenomeno individuale, la dipendenza affettiva è un passo a due. Spesso il partner del dipendente affettivo è un soggetto problematico, che  maschera la propria dipendenza affettiva con una dipendenza da droga, alcol o gioco d’azzardo. In questo caso i problemi del compagno diventano la giustificazione per dedicarsi interamente all’altro bisognoso, non prendendosi il rischio di condurre un’esistenza per sé. Altre volte la persona amata è rifiutante, sfuggente o irraggiungibile, per esempio sposata o non interessata alla relazione. In entrambi i casi quello che seduce è la lotta: la dipendenza si alimenta del desiderio di essere amati proprio da chi non ci ricambia in modo soddisfacente, crescendo in proporzione al rifiuto, anzi se non ci fosse quest’ultimo, il presunto amore non durerebbe.

La persona che ha una dipendenza affettiva di solito soffoca ogni desiderio e interesse individuale per occuparsi dell’altro, ma inevitabilmente resta delusa e il suo amore prende la forma del  risentimento. Allo stesso tempo non riesce a interrompere la relazione, in virtù di ciò che definisce amare troppo, non rendendosi conto che questo comportamento distrugge l’amore che richiede invece autonomia e reciprocità.

La posizione paradossale che caratterizza la dipendenza affettiva è un non posso stare con te (per il dolore in seguito ad umiliazione, maltrattamenti e tradimenti) o né senza di te (per l’angoscia al solo pensiero di perderti).

Generalmente, sono più le donne a diventare affettivamente dipendenti dai propri partner (nel 99% dei casi), perché da sempre sono particolarmente attente ai bisogni degli altri e più disponibili dal punto di vista affettivo ed emotivo rispetto agli uomini. In queste donne il bisogno di essere amate predomina rispetto a quello di amare e fanno di tutto pur di colmare mancanze e vuoti interiori: vivono in funzione dell’altro e lo assecondano per ottenere amore e attenzioni. Spesso si confonde l’amore con la fusione totale, ma l’amore sano è capace di rispettare l’autonomia e gli spazi dell’altro. Non è la simbiosi ma l’accettazione delle diversità che permette di arricchirsi, di crescere, di regalare fiducia.

Forse siamo un po’ tutti dipendenti dall’altro, ma se la nostra dipendenza supera i limiti dobbiamo porre rimedio. 

Cosa possiamo fare?

È fondamentale ricostruire la propria identità e la propria autostima, ottenere un adeguato grado di autonomia e riempire la propria esistenza grazie all’amore e alla cura di sé, senza la necessità di aggrapparsi a qualcuno. Bisogna anche acquisire la capacità di soddisfare i propri bisogni, prendendosi la responsabilità di accudirsi, diventando buoni genitori di se stessi. Crearsi una vita piena di cose per sé è già una terapia quotidiana da non sottovalutare. Solo così è possibile avvicinarsi all’altro, senza inevitabilmente aggrapparsi. Si può imparare a stare bene con se stessi, sentirsi completi, amandosi e accettandosi pienamente per ciò che si è e si può essere.

Inoltre, l’equilibrio di coppia si fonda sempre sul dialogo, sul rispetto di se stessi e sul riconoscimento dell’altro come persona, prima che come partner. Se manca uno di questi tre ingredienti, occorre ripartire da lì. Nel momento in cui ci si rende conto che il disagio e il malessere invadono e compromettono i diversi aspetti della vita quotidiana, è bene chiedere un aiuto.

Dott.ssa Grazia Razza, psicologo

Dott.ssa Viola Frasca, psicologo

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