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Somatizzazione e fenomeni psicosomatici: cosa sono e perché non sono “inventati”?

Somatizzazione e fenomeni psicosomatici: cosa sono e perché non sono “inventati”?

Quando si parla di problemi che, si dice, facciano capo alla sfera “Psi” si solleva spesso un alone di scetticismo sul problema. Contestualmente, chi ne soffre tende a nascondersi, non solo per il disagio provato, ma perché teme di non essere creduto, di suscitare compassione ed essere stigmatizzato ed etichettato come colui o colei che non è abbastanza forte da affrontare le avversità che gli o le si presentano. In poche parole, a causa di un forte retaggio culturale ancora in gran parte radicato, un problema di tipo organico viene affrontato con molte meno resistenze rispetto ad un problema che fa capo alla sfera psichica.

Cominciamo col fugare un dubbio molto comune: qualsiasi sintomo di origine psichica, sia esso una somatizzazione o un fenomeno psicosomatico, non è inventato. Esso esiste. Quando parliamo di un sintomo di natura psicologica, parliamo di un sintomo reale la cui derivazione è psichica, ovvero le motivazioni della sua insorgenza non sono da ricercare in un agente patogeno esterno così come siamo abituati in medicina, bensì in eventi, esperienze e pensieri elaborati dalla nostra mente in un certo modo, o non elaborate affatto.

In termini clinici è possibile fare una distinzione tra quei sintomi definiti “somatizzazioni” e quelli invece che vengono etichettati come “fenomeni psicosomatici”. Quest’ultimi si caratterizzano per l’assenza di una causa patogena conosciuta e la presenza di una lesione sull’organo colpito – pensiamo alle malattie della pelle quali psoriasi, vitiligine, alopecia e dermatiti varie o a problematiche quali colon irritabile, ulcera peptica, asma, e in generale le patologie che colpiscono il sistema immunitario, per citarne alcune.

 I fenomeni psicosomatici

Lungi dall’essere inventate, queste patologie hanno lesioni spesso ben visibili e hanno un legame a doppia mandata con la psiche. Il primo legame possiamo rintracciarlo ad un primo e più evidente livello, ovvero quello dei disagi psicologici che la malattia porta con sé.

Prendiamo in considerazione le malattie della pelle ad esempio: psoriasi, dermatiti, alopecia e vitiligine. I disagi psicologici più frequenti sono quelli in risposta allo sguardo dell’Altro che risulta essere spesso intrusivo, causa vissuti di vergogna e accresce la ferita narcisistica che in questo caso attiene alla nostra immagine tanto quanto al nostro “io ideale”. In molti casi l’estate diventa croce e delizia per queste persone poiché da un lato il sole aiuta a migliorare clinicamente la condizione della malattia, dall’altro costringe il soggetto ad abbandonare gli abiti coprenti e darsi allo sguardo altrui, alimentando il senso di imbarazzo, di disagio e di angoscia;

se volgiamo lo sguardo anche ad altri fenomeni psicosomatici, quali il colon irritabile o le patologie del sistema immunitario in genere, i problemi più frequenti sono il malessere da dolore cronico che spesso si accompagna a sintomi di ansia e depressione correlati agli stati di infiammazione presenti nell’organismo.

Altri problemi possono riguardare la qualità della vita in generale minata da dolori cronici, prurito, bruciore che hanno esiti negativi sulla qualità del sonno, del riposo e dunque sul vivere bene. Tutto ciò spesso si ripercuote negativamente anche sulle relazioni sociali.

L’origine

L’altro aspetto, più profondo, riguarda invece l’origine delle suddette patologie che hanno, nella maggior parte dei casi, un’origine di tipo traumatica per la persona. Un trauma di ordine psichico. È bene dire tuttavia che per il soggetto che sviluppa una di queste patologie c’è sempre una predisposizione genetica, di tipo ereditario, ma che il gene della malattia potrebbe non esprimersi mai se il gene soppressore che la “tiene a bada” non venga meno alla sua funzione a causa delle condizioni ambientali e delle esperienze. Il trauma in questione attiene alla sfera più intima della persona, agli occhi degli altri potrebbe risultare insignificante, mentre significa molto per colui o colei che lo ha vissuto. L’incapacità o l’impossibilità di elaborare il suddetto trauma si inscrive sul corpo come una lesione, attraverso ciò che appare, che si mostra allo sguardo e porta con sé molta sofferenza.

Le somatizzazioni

Altro discorso per le “somatizzazioni” invece, altrimenti dette sintomi o disturbi da conversione. Anche in questo caso l’origine è psichica, i sintomi sono simili a quelli di una patologia del sistema nervoso, ma a differenza dei fenomeni psicosomatici, gli organi in questione non presentano alcuna lesione. Per tale ragione si può parlare di sintomi da conversione solo dopo accurati controlli che escludono la presenza di cause neurologiche e lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Questa specifica caratteristica del sintomo in assenza di lesioni porta spesso gli altri a liquidare il problema con una più semplice ipotesi di “invenzione” del malessere da parte del soggetto, accusa che alimenta vissuti di disagio e incomprensione nell’intimo della persona che ne soffre.

Tra i sintomi da conversione possiamo annoverare: paralisi degli arti; perdita del senso del tatto; sensibile calo della vista o dell’udito; difficoltà nella deglutizione o perdita della voce; alterazioni della coordinazione o dell’equilibrio.

Questi tipi di sintomi sono causati da un conflitto psichico e convertiti inconsciamente in sintomi somatici. L’esordio solitamente è acuto o sub-acuto ed è collegato a un evento di forte intensità affettiva, con un chiaro riferimento simbolico: il sintomo infatti rimanda sempre a un qualcosa di altro che è stato rimosso, “dimenticato”, perché inaccettabile per la coscienza, e per tale ragione la causa è da ricercare nell’inconscio. Anche in questo caso possono esistere dei fattori predisponenti, come maltrattamenti e abusi, e fattori precipitanti, quali stress, conflitti e perdite, che inducono la conversione.

In ogni caso, che si tratti di fenomeno psicosomatico o di somatizzazione, diventa indispensabile uno spazio di ascolto per il soggetto, affinché questi possa assumersi la responsabilità del proprio malessere e poterlo mettere in parola, poiché è solo attraverso l’articolazione della parola che è possibile una rielaborazione del trauma o del conflitto psichico.

 

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